domenica 31 ottobre 2010

Lady Laida e la lotta di classe

Signore e signori, oggi [nota - Repubblica, 14 ottobre] l'insigne intellettuale Camille Paglia sproloquierà sul tema "La fine del sesso nell'era di Lady Gaga". Diamole subito la parola:
Lady Gaga è la prima grande stella dell'era digitale. Da quando ha raggiunto il successo, è rimasta pressoché sempre in tournée. E' dunque un obiettivo mobile, che finora ha eluso un'analisi approfondita.
Giusto. Non si può fare un'analisi approfondita di Lady Gaga finché è un obiettivo mobile: il problema è trovare un cecchino in grado di farle interrompere la tournée. Ma nel frattempo...
E' spesso ripresa mentre cammina barcollando, con indosso un negligé assurdamente bizzarro e una parrucca orrenda. Gran parte di ciò che ha raccontato di sé non è stato confermato in via indipendente. I suoi fan si bevono senza batter ciglio le sue affermazioni più strampalate e più volte ribadite: "La musica è falsità", "L'arte è falsità", "Gaga è falsità", per terminare con un "Io mento molto spesso".
Un momento, dire che l'arte sia falsità sarebbe un'affermazione strampalata? E da quando? Forse Lady Paglia sarebbe sorpresa di scoprire che il termine "arte" in latino - oltre che "professione", "abilità", "teoria", e "prodotto dotato di valore estetico" - significa "furberia", "astuzia", "inganno" (ha la stessa radice di artificium). Questi concetti così diversi tra loro sono dunque da sempre, nell'arte, indissolubilmente legati.

Tanto è vero che i Romani distinguevano la musica "naturale" - ovvero i suoni della natura, come lo scroscio delle onde marine ed il canto degli uccelli - da quella "artificiale" in quanto composta dall'uomo: autenticità vs. falsificazione, appunto, ed è nel territorio di quest'ultima che sta l'arte musicale come la intendiamo noi oggi.
Lady Gaga sbandiera il suo legame simbiotico con i fan - i "piccoli mostri" li chiama - che lei incoraggia ad "amarsi", come se fossero oggetti danneggiati che necessitano del suo intervento terapeutico e riparatore. "Siete delle superstar! Non importa chi siete davvero!" urla loro dal palco, mentre i loro soldi vanno a finire nelle sue tasche. 
A Lady Paglia sfugge che oggi il valore supremo - il fine, quindi, per ogni popstar nonché per ogni adolescente mostriciattolo, non sono i soldi ma la celebrità in quanto tale. Almeno in questo, gli anni Ottanta sono finiti davvero: e a maggior ragione ciò è vero per Lady Gaga, che senza avere alcuna qualità specifica ha costruito proprio sulla fama un fortunatissimo schema di Ponzi.


A una rivista ha confidato con fervore quasi messianico: "Adoro i miei fan più di qualsiasi artista abbia mai vissuto". Dichiara di aver cambiato la vita dei disabili, rimasti elettrizzati dalla sua parodia con le grucce ricoperte nel suo video Paparazzi. Benché si presenti come la portavoce di tutti i personaggi più strani e disadattati della vita, vi sono poche prove che lo sia davvero.
Forse perché non è tenuta ad esserlo. Si chiama scissione tra l'artista come io narrante e l'artista come persona: chi la ignora rischia di dire delle sonanti cazzate, specie se cerca di dare lezioni sulla cultura pop. E infatti...
E' cresciuta in una famiglia benestante, negli agi, e ha frequentato la stessa elegante scuola privata a Manhattan di Paris e Nicky Hilton.
Ehi ragazzi, avete capito? Gaga ha fatto la stessa scuola di Paris Hilton, quindi non è vero che è una autentica puttanazza di strada come vuole farvi credere! E' come i Club Dogo, che sembrano ragazzacci violenti ma invece il loro papà è pieno di soldi e gli compra pure la bamba.
Vi è un divario abissale tra l'autoritratto melodrammatico che Gaga dà di sé come artista solitaria, ribelle ed emarginata e la potente macchina imprenditoriale che sovvenziona il suo look e il suo trucco e che ha fatto trasmettere le sue canzoni dalle emittenti radiofoniche in sequenza pressoché ininterrotta e pressoché ovunque.
Veramente nel fenomeno ladygaghesco, come in pochi altri, il successo è arrivato soprattutto con una mastodontica omologazione dal basso in cui il Web ha giocato un ruolo determinante. Se Lady Paglia sapesse cosa sono i social network, magari potrebbe concentrare su quelli la sua analisi; invece no, si sveglia fuori tempo massimo, sente un tormentone e pensa di sbugiardarlo ricorrendo alla solita vecchia favoletta della popstar catapultata sul popolo grazie alla Spectre delle multinazionali discografiche / tv / emittenti radiofoniche. Questo solleverebbe il pubblico da ogni responsabilità, lasciando alla Lady Paglia stessa il ruolo dell'intellettuale demistificatrice che giunge alfine per smascherare le false ribellioni.


Come se non bastasse, Paglia la tira per le lunghissime (yawn):
Lady Gaga è un personaggio costruito a tavolino, e anche da poco. Alcune foto di Stefani Germanotta scattate pochi anni fa mostrano una spumeggiante brunetta dall'aspetto raggiante.
Certo, perché notoriamente una foto è la verità (come potrebbe confermare anche l'illustre semiologo Fabrizio Corona).
La Gaga di fama mondiale, tuttavia - quella che indossa vistose parrucche e giganteschi occhiali da sole (indossati villanamente anche nelle interviste) - la si vede fare smorfiosamente la bambolina oppure cadere nel macabro, senza traccia alcuna di spontaneità. Ogni sua apparizione in pubblico, addirittura (che assurdità!) negli aeroporti - dove la maggior parte delle celebrità cerca invece di passare inosservata - è stata precedentemente studiata in ogni dettaglio, con tanto di completino sgargiante e vistoso, e i suoi capelli sono stati pettinati in modo bizzarro e quanto mai stravagante da un team invisibile di folletti. 
Appunto, si chiama mitopoiesi ed è lo stesso giochino attuato [dalla Lega Nord] con ampolle e giuramenti per crearsi una fortissima base di fanatici. Ma proprio perché questi "miti" sono così recenti, la loro analisi non si può fermare ad una loro superflua negazione - che semmai va praticata verso altri miti, quelli consolidati ed ampiamente avallati anche dagli intellettuali - ma dovrebbe spiegare in prima istanza come sono stati costruiti e su quali fondamenta poggiano.
E soprattutto, in questo caso, dovrebbe parlare di SESSO: perché siamo ormai a metà dell'articolo, e ancora non ce n'è traccia (evidentemente questa era solo l'introduzione). Ora finalmente Lady Paglia rompe gli indugi...
Oltretutto, malgrado il fatto che metta in mostra interi metri quadrati di pallida carne e indossi i classici orpelli dei feticisti e masochisti della prostituzione urbana, Gaga non è affatto sexy, essendo piuttosto simile ad una marionetta spilungona o ad un androide di plastica.
Cioè, stai dicendo che la mittica Lady Gaga è brutta? Hai ragione: probabilmente non arraperebbe nemmeno un ergastolano che non vede topa da vent'anni nemmeno in fotografia. Ma tale constatazione, per quanto veritiera, è comunque di infimo livello.
Come è mai possibile che una figura così costruita a tavolino e artificiale, così morbosa e stranamente antisettica, così sprovvista di autentico erotismo, sia diventata l'icona della sua generazione?
Forse perché non è così stupida da pensare che per diventare "icone generazionali" occorra come prerequisito essere icone sessuali.
Può essere che Gaga incarni la fine ormai estenuata della rivoluzione sessuale?
No, nel senso che era già finita una vita fa. E comunque "la fine della rivoluzione sessuale" non è che sia proprio uguale a dire "la fine del sesso"...
Con la maniacale parodia di Gaga di un personaggio dopo l'altro - esasperata, eccessivamente calcata e claustrofobica - potremmo aver raggiunto la fine di un'epoca... Gaga ha preso in prestito così tanto e così intensamente da Madonna (come nel suo ultimo video intitolato Alejandro) che dovremmo chiederci a che punto l'omaggio si trasformi in plagio.
Mai sentito parlare del postmodernismo?
In ogni caso, il fatto è che Madonna da giovane era tutta un fuoco, era davvero l'incontrastata di Marlene Dietrich.
"TUTTA UN FUOCO"! Basta, date fuoco alla traduttrice per favore.
 Per Gaga, invece, il sesso è più che altro decorazione, apparenza, e lei è come un falso mobile rococò realizzato in laminato.
Un po' come il tuo cervello, insomma...
 E' inquietante tuttavia che la Generazione Gaga non riesca a coglierne la differenza.
Primo, non esiste nessuna "Generazione Gaga" ma solo un target sensibile a Lady Gaga. Secondo, la suddetta Lady Gaga si dà il caso che di mestiere faccia la cantante e non la pornostar: dunque nel suo caso bisognerebbe semmai stupirsi di quanto marginale e decorativa sia la musica (che peraltro fin qui non è stata neanche nominata). Terzo, ammesso che ce ne freghi qualcosa, perché non lo chiediamo ad un fan di Lady Gaga se davvero coglie questa differenza tra chi è "tutta un fuoco" e chi è solo un "mobile in laminato"?
E' la morte del sesso?
Vabbè, ora non confondiamo le tue beghe personali con il mondo intero dai. Succede dalla notte dei tempi.
Forse, lo status simbolico che il sesso ha rivestito per un secolo è andato perduto. Forse, la sua traiettoria innovatrice può dirsi conclusa...
... e forse il prof. Cacciari direbbe a questo proposito che il sesso è ormai un concetto inerziale come la destra e la sinistra:

Nel frattempo, avete notato che quando un filosofo (o simile) non ha nulla da dire, se ne salta fuori dichiarando che "è finito" l'x, che "è morto" l'y, che "è obsoleto" lo z, che "siamo al tramonto dell'era" del w? Il finismo è davvero un serbatoio inesauribile per discorsi a cazzo.
Gaga assomiglia a una cometa, a una raffica stimolante di novità, quantunque di fatto si limiti a riciclare con determinazione e senza problemi il lavoro altrui. E' la diva del déjà vù. Gaga si è facilmente impossessata di un po' di tutto, rubacchiandolo ad attori come Cher, Jane Fonda nel suo ruolo di Barbarella, Gwen Stefani e Pink, ma anche ad autentiche muse della moda come Isabella Blow e Daphne Guinnes. 
Spiace ripetermi ma... hai mai sentito parlare di "postmoderno"? Risparmieresti un sacco di descrizioni inutili.
Le drag queen - che Gaga dichiara apertamente di ammirare - sono di gran lunga più sexy nei loro completini audaci di quanto sia lei.
Ri-spiace ripetermi ma... di tutte le colpe che può avere Lady Gaga, mi pare ridicolo imputarle anche quella di non essere abbastanza sexy: essa semmai potrebbe esser quasi un titolo di merito, come riscatto corporale della bruttezza rispetto agli stereotipi consolidati. 
Le espressioni facciali di Gaga si limitano a occhiate furtive e accigliate attraverso tutto quel ciarpame. Nei suoi filmati avvicina il suo lugubre e vacuo volto alla telecamera e a noi fa venire i brividi. E' coatta. 
Ma se state rabbrividendo anche voi, niente paura... ora Lady Paglia inventerà un getto di acqua calda per riscaldarci un po':
Marlene e Madonna davano quanto meno l'impressione, vera o finta che fosse, di essere pansessuali. A dispetto di tutto il suo dimenarsi e atteggiarsi, Gaga è asessuale. Andarsene in palestra in pieno giorno indossando un bustino nero, calze a rete e tacchi a spillo come ha fatto Gaga di recente non è affatto sexy, bensì sintomo di una sessualità disfunzionale.
Proviamo a confrontare le insipide canzoni di Gaga, con le loro sillabe insulse da filastrocca infantile, con il titolo e l'ipnotico ritornello della prima canzone e del video di Madonna studiati per attirare l'attenzione su Mtv, Burning Up, con tutto quel fondamentale immaginario di fuoco e la famosa proposta di fellatio, allora scandalosa. Al posto della valorosa forza vitale di Madonna, in Gaga riscontriamo soltanto un'inquietante tendenza alla mutilazione e alla morte...
Diciamo che in queste righe Lady Paglia ha raggiunto il culmine del suo sforzo erotico-estetico-intellettuale; risolvendo il cosiddetto "confronto" fra Gaga e Madonna con la vittoria di quest'ultima per un valoroso pompino a zero. Si vola alto insomma.
Gaga tende a essere al di sopra delle sue stesse pretese di avanguardia...
(la sala esplode in una fragorosa risata)
Vuole essere tutto e il contrario di tutto, essere hip e all'avanguardia ma anche popolare e universale, una che pratica lo showbiz in modo fanatico. 
Già, che ci vuoi fare, su Complottoemezzo lo chiamano Mainstrindie: non è colpa nostra se non ti documenti. Comunque ora fermati, basta, se continui così finisci per farmela piacere...
La maggior parte dei suoi devoti ammiratori pare avere scarsi rapporti o forse nessuno con personaggi travolgenti come Tina Turner o Janis Joplin, con le loro ricche personalità e la loro impetuosa passione.
Dirò di più: non hanno mai incontrato Marylin Monroe, Silvana Pampanini e nemmeno Anita Garibaldi che in quanto a passione non scherzava niente.
La Generazione Gaga non si identifica con stili vocali potenti, perché le voci dei giovani che ne fanno parte si sono atrofizzate: comunicano senza parlare, con un flusso ininterrotto di telegrafici sms sparsi qua e là.
Sì ciao, questa ancora sta agli sms. Comunque fai così, guardati 30 secondi di X-Factor, goditi un paio degli acuti belluini di qualche concorrente e forse inizierai a farti un'idea di quanto siano enormi le cazzate che stai generando.
La piatta affezione di Gaga non li affligge affatto, perché non sono sintonizzati sulle espressioni del volto.
Che stupidi, vero? Ascoltano musica senza sintonizzarsi sulla mimica facciale della cantante. Davvero inaudito...
I fan di Gaga sono isolati in una tecnologia globale fatta di gadget bizzarri, ma caratterizzati da una povertà di sentimenti.
 Le linee di demarcazione sfumano tra pubblico e privato: i reality show alla televisione si moltiplicano, le conversazioni al telefono cellulare si fanno ovunque, i segreti sono sventatamente spiattellati su Facebook o Twitter. Ed ecco, infatti, Gaga chiacchierare senza motivo alcuno della sua vagina...
Ah, ma allora anche Lady Paglia è al corrente dell'esistenza del 2.0! Benone, quando avrà anche capito cos'è potremo riparlarne. Non è che su Twitter capiti poi così spesso di parlare dei propri organi genitali, e comunque bisogna precisare che il tasso erotico di siffatti post dipende molto da chi è la proprietaria della vagina in questione. Notare comunque che questo rimpianto per la privacy perduta arriva subito dopo avere magnificato le valorose proposte di fellatio che Madonna faceva in tivvù negli anni Ottanta. Notare infine che l'articolo è finito, e magari vi starete chiedendo cosa cavolo c'entri la lotta di classe evocata nel titolo del post: ebbene, c'entra esattamente quanto "La Morte del Sesso" evocata nel titolone bidone di Repubblica per cercare di rendere interessante questo schifo di pezzo. Nulla.

domenica 24 ottobre 2010

L'eredità di Aristotele

"La cultura non si mangia"
(Giulio Tremonti)
Vera o fasulla che fosse la citazione recentemente attribuita dai giornali al nostro Ministro dell'Economia, certamente è andata ad agitare il coltello su una piaga tuttora aperta: il rapporto fra le attività spirituali ed i beni materiali. Per fare piena luce su questa irrisolta dicotomia, il Corriere della Sera ha dunque sguinzagliato i suoi segugi a verificare quanto guadagnano i miei colleghi; ed ecco ciò che ha scoperto Armando Torno (14 ottobre 2010, pag.52):
Non è vero che i grandi filosofi imparati a scuola furono soltanto apostoli delle loro idee e vissero come se l'umanità non li riguardasse. Se qualcuno ebbe tali caratteristiche, fu un'eccezione. La maggioranza conobbe i problemi della gente comune, sovente lottò contro quelli economici. Il denaro, per dirla in termini semplici, è stato capriccioso con loro quanto lo è con i comuni mortali. Noi li studiamo sovente in biografie che ne edulcorano le difficoltà, ma alcuni di loro furono ricchi e nobili, come Platone, mentre altri faticarono a tirare la fine del mese, come Comte, che combinò il pasto con la cena facendo il ripetitore scolastico.
Se Aristotele fu strapagato da Alessandro Magno (talune fonti parlano di 800 talenti versati per la Storia degli animali, cifra con la quale avrebbe potuto comperare allora oltre un migliaio di abitazioni), e se Seneca - grazie alle sue frequentazioni, in particolare Nerone - diventò il più ricco pensatore di tutti i tempi, Nietzsche visse gli anni creativi con una pensione da professore e da essa doveva decurtare le spese per pubblicare i libri. 
Diogene di Sinope, il cinico, abitava in una botte e girava per Atene come un mendicante, privandosi di tutto il superfluo e chiedendo anche la carità. Con questo non si deve dedurre che la storia del pensiero sia piena di morti di fame - tranne ovviamente quelli che scelsero una simile fine, come taluni stoici quali Dionigi o Cleante - ma che le idee, vera ricchezza per l'umanità, non sempre hanno ripagato chi le ha avute. Certo, non mancarono attenti amministratori del loro patrimonio, come Schopenhauer (il quale, tra l'altro, non sopportava il prossimo) o Voltaire, che investì le numerose prebende di cui godeva anche nelle navi negriere. 

L'autore dell'articolo, già che c'è, ne approfitta ora per pubblicizzare la sua nuova collana di Enciclopedia Filosofica: i maligni diranno che è una "marchetta", ma in realtà si vuole solo verificare l'assunto dell'articolo stesso ovvero che con la filosofia si può anche fare business...
Dinanzi a una nuova edizione dell'Enciclopedia Filosofica simili notizie corrono tra le voci e ci si accorge che le illustri vite, capaci di produrre sistemi e progetti per il bene del mondo, hanno ancora dettagli da rivelare. Marx, per fare un altro esempio, era sempre irritato e il problema dei soldi lo accompagnò tutta la vita. Era distratto: chiedeva prestiti, frequentava il banco dei pegni, spendeva senza riflettere e infine si infuriava quando giungeva il momento di onorare i debiti. L'eredità paterna gli portò una cospicua somma in oro (seimila franchi dell'epoca), ma egli la "investì" in buona parte per armare i lavoratori del Belgio; la madre, da parte sua, si rifiutò di pagargli i debiti. Per fortuna trovò Engels, la vera risorsa economica della sua esistenza.
Scoop! Il fondatore del comunismo era un mantenuto: deve essere per questo che piace tanto agli intellettuali...
Condusse inoltre una vita malsana: mangiava e fumava molto, era goloso dei cibi ben conditi, apprezzava la birra ad alta gradazione e soffrì - soprattutto durante la stesura de Il Capitale - di foruncoli. La dieta sregolata e l'igiene dell'epoca gli causarono questo genere di escrescenze, che lo innervosì in molteplici occasioni. In una lettera a Engels, scritta nei giorni di composizione della sua massima opera, Marx collega il protuberante fastidio alle lotte economiche: "Qualsiasi cosa succeda, spero che la borghesia si ricorderà per sempre dei miei foruncoli".

Come vedete, a parte le case a Montecarlo ed i conti offshore presso l'isola di St.Lucia, rovistando nella spazzatura di casa dei filosofi si trova un po' di tutto. E non mancano torbide storie di prostituzione:
[...] Per giungere in tempi vicini a noi, diremo che Bertrand, terzo conte di Russell, celebre per i suoi studi matematici ma soprattutto perché negli anni Sessanta gli fu attribuito lo slogan "fate l'amore, non fate la guerra", scrisse un oceano di articoli e di libri su argomenti diversissimi - non escluso l'utilizzo del rossetto - per avidità. L'amico Miles Malleson [...] rivela che i suoi ingenti guadagni li registrava su un libriccino, nel quale elencava scrupolosamente i compensi ricevuti per pubblicazioni e trasmissioni radiofoniche. Nei rari momenti di inattività o di tristezza, lo estraeva e, leggendolo, ne ricavava "sempre grande conforto". Godeva, insomma, come Paperon de' Paperoni.
In conclusione, se alle feste damsiane che ci piace frequentare venisse fuori il discorso su quale eredità abbia lasciato Aristotele ai posteri, ora sapete come comportarvi. Lasciate che qualche laureando fuoricorso si arrampichi sull'importanza del Protreptico e della Gnoseologia, quindi seccatelo con la risposta giusta che solo voi conoscete: 800 talenti.

domenica 17 ottobre 2010

Mitopoiesi della Padania

"Dalla culla al carroccio: così nasce un popolo finto"


Solitamente, qualsiasi ragionamento scritto o parlato a proposito della Lega Nord finisce per suscitare (indipendentemente dalle tesi sostenute) una ben conosciuta tipologia di sintomi che vanno dall'emicrania, alla nausea, fino all'itterizia nei casi più gravi. Val dunque la pena segnalare, per contrasto, che la settimana scorsa mi è apparso sull'argomento - in un giorno peraltro inatteso come il Venerdì di Repubblica - un approfondimento interessante e ricco di spunti da sviluppare, dal titolo HOMO PADANUS. Ecco l'incipit del primo articolo (sono tre in tutto):
E alla fine, Eridano espugnò la scuola. La storia di Adro e dell'istituto Gianfranco Miglio, illuminato da settecento Soli delle Alpi, era già scritta nel '98, anno secondo dell'"Indipendenza padana". Quando, per dettare la linea, Umberto Bossi scelse la prefazione a Eridano alle prese con la scuola italica, un fumetto il cui protagonista, un giovane padano col nome antico del Po, era vittima dei suoi professori, tutti meridionali. "Il Colonialismo controlla il nostro passato per controllare il nostro futuro" scriveva il senatur. "E' nella scuola che ci sono le radici della libertà oppure dell'asservimento" [...].
Purtroppo il fumetto in questione è introvabile, ma il passo citato è già sufficiente a sorprenderci: che senso ha il richiamo (niente affatto retorico, si direbbe) all'importanza della scuola, per un movimento/partito che vanta una connotazione culturale decisamente barbarica?

Subito una didascalia ci suggerisce la possibile risposta:
IL METODO GRAMSCIANO - Il tradizionale folclore padano delle adunate di Pontida [...] lentamente sta lasciando spazio nella Lega a una vera e propria cultura "gramsciana" di formazione delle nuove generazioni.
Da qui in poi avevo scritto una bellissima tirata su come Gramsci venga invocato ultimamente un po' da tutti per spiegare qualsiasi cosa; e del resto non è la prima volta che si paragona la propaganda leghista a quella del vecchio PCI. Peccato che nel "metodo gramsciano" l'occupazione dei posti nel sistema culturale fosse effettivamente praticata dagli intellettuali, a partire dalla scuola, mica dagli Orsetti Padani: come dire, se ad insegnare ci metti una capra non significa che stai dando importanza alla cultura. Anzi, significa semmai che la concepisci come un'appendice di Miss Padania. A questo punto però mi si è spento il computer, ed ovviamente non avevo salvato nulla (ma non c'era l'autosave?). Potrei riscrivere il pippone, è vero, ma preferisco che sia il mio amico Antonio a dirci direttamente quello che pensa:


Grazie Antò, mi hai risparmiato un sacco di tempo. Semmai bisognerebbe spiegare la incredibile capacità di "omologazione dal basso" che la Lega ha, ma per questo dobbiamo ricorrere al suo versante mitologico: quello che solitamente viene definito "folklore", o "aggregazione di baggianate", senza mai chiedersi davvero in cosa differisca un mito da una baggianata. Di questo si occupa il secondo articolo di HOMO PADANUS:
Giusto, giustissimo, dice ai lettori della Padania Giovanni Polli. Per parlare di noi hanno scomodato un "parolone greco". Quale? Mitopoiesi. Significa "l'attitudine delle comunità umane a creare i miti". Lui concorda: "L'acqua del Po, il giuramento di Pontida, il simbolo stesso del Sole delle Alpi, vengono prima di ogni esito elettorale". Addirittura? Non c'è contraddizione. Il mito porta voti.
Infatti è questa l'accezione tout court della "cultura" in ambito padano: il mito di se stessi, l'auto-mito che va dallo spadone di Alberto da Giussano al ditone di Umberto Bossi. E con tutto il rispetto, sembra una accezione un po' ristretta.
  [...] Ed è stato così fin dal lontano 20 maggio del 1990, quando per la prima volta sul "sacro prato" venne pronunciato il giuramento dei novecento cavalieri della Compagnia della morte guidati da Alberto da Giussano, che il 29 maggio del 1176 difesero il Carroccio, simbolo della Lega lombarda, contro l'esercito imperiale di Barbarossa. 
1990, notare che si tratta del primo anno dell'Era Postmoderna (il muro di Berlino era caduto pochi mesi prima). Il gesto "mitologico" della rifondazione padana è in questo senso storicamente plausibile, perché - ora che la direzionalità temporale della Storia si è conclusa - ognuno può iniziare a scomporre e ricomporre qualsiasi frammento del passato che vuole, proprio come fanno gli artisti postmoderni nel pastiche.
Un rito che ogni anno si rinnova. Come quello, lanciato nel 1996, dell'ampolla in vetro di Murano che raccoglie le acque del Po. Si parte dalle pendici del Monviso, si finisce a Venezia, Riva degli Schiavoni. Dal Monviso a Venezia, dalle Alpi alla Laguna, dal Piemonte al Veneto passando per Lombardia ed Emilia. "Le radici profonde non gelano" ricordano, citando Tolkien, l'autore del Signore degli Anelli, Adalbero Signore e Alessandro Trocino in Razza Padana (Rizzoli, 2008). 
Non è un caso che nello stesso periodo sia iniziata l'ascesa mondiale del fondamentalismo islamico, culminata con l'11 settembre ma tuttora in espansione. Certo al suo confronto i nostri padani sono dei patetici microbi, da ogni punto di vista, ma i fenomeni si somigliano per la visionaria capacità di proiettare nell'oggi - attraverso miti fondativi, riti e proselitismo - una visione del mondo assolutamente inattuale.
"La leggenda prova a farsi realtà". Le foreste marciano, gli alberi si muovono. Così il senatur passerà nel corso degli anni dalle radici celtiche all'esaltazione di Annibale "nemico di Roma", dall'indipendentismo scozzese di Braveheart ai Longobardi, dal regno lombardo-veneto alla rivoluzione antinapoleonica delle Pasque veronesi. Per approdare infine, è roba d'oggi, alle radici cristiane del Continente, all'anti-Risorgimento (Cavour federalista tradito da Garibaldi) e all'Europa del denaro [...]. E' la potenza del mito che affonda nella Storia. Con la disinvoltura di un cartone animato.
Attenzione, perché qui si annida l'inganno della politica cosiddetta "post-ideologica" che tanto piace agli intellettuali "post-ideologici". Se l'ideologia era "l'Idea che prova a farsi realtà", qui l'idea è sostituita non da qualcosa di più avanzato ma da simboli ed archetipi primitivi. In questo senso lo stesso vale per il Berlusconismo, dove la mitologia coincide con la persona stessa del leader.

Il terzo articolo di HOMO PADANUS si occupa della missione di disfare l'Italia; che poi, trattandosi di un fenomeno indipendentista, non è poi una gran scoperta. Ma qui ci si occupa del piano antropologico, quello che non fa notizia, ma può spiegare ed anticipare quello politico. E perciò è molto più insidioso, anche perché non trova nella democrazia - per definizione stessa della democrazia - alcun possibile argine.
[...] Solitamente si liquida tutto ciò come folclore. Manifestazione di pessimo gusto, fastidiosa, persino oltraggiosa, ma tutto sommato innocua, come il basso livello culturale, la rozzezza e la marginalità dei suoi protagonisti. Ma temo sia un errore letale. Intanto perché non è affatto vero che ignoranza e rozzezza siano in qualche modo "innocenti", né tantomeno innocue: hanno al contrario un terribile potenziale di contagio, nei punti di caduta della storia, e una distruttività pari alla semplicità elementare dei loro linguaggi (gli anni Trenta insegnano). E poi perché, dietro i volti impenetrabili di questi nuovi barbari, si può intravvedere la minacciosa grandezza di un'idea mortale: la voglia di metter le mani sulla stessa base "antropologica" del vivere associato [...]. E' come se i piccoli sindaci padani intuissero una nuova "morte della patria", di un altro strisciante 8 settembre.
Ed ecco a voi la morte della patria:


Bibliografia

Sebastiano Canetta ed Ernesto Milanesi, "Legaland - miti e realtà del Nord Est" (manifestolibri)

Adalbero Signore e Alessandro Trocino in Razza Padana (Rizzoli, 2008)

anonimo, "Io, giovane padano" (in free download dal sito del Movimento Giovani Padani)

domenica 10 ottobre 2010

Il Cacciatorino

"Destra e sinistra sono categorie obsolete"


 Ingiustamente accusato per anni di essere un "filosofo di sinistra", Massimo Cacciari si fa intervistare su Il Giornale per smentire tutto:
Professore, bisogna bruciare sinistra e destra?
«Si sono bruciate da sole. I termini e i contenuti che le hanno definite nel XX
secolo sono superati. Tutti i nostri problemi esulano da queste categorie, anche se
c’è ancora chi cerca disperatamente, per meccanismi inerziali, di tenerle vive. Il
pensiero della sinistra che la destra sia solo mercato sfrenato e individualismo, per
esempio, è inerziale. Come l’anticomunismo della destra. Nessuna di tali posizioni
appartiene al postmoderno in cui siamo costretti a vivere». 
"Inerziale" è termine mutuato dalla fisica, e riguarda una forza che rimane ferma dentro un sistema di riferimento in moto. Quando decolla l'aereo e ci sentiamo respinti indietro, ad esempio, è un meccanismo inerziale: agisce in quell'attimo in cui [inserire qui una spiegazione scientifica verosimile, ma in questo caso superflua]. Non ce l'ho con Cacciari perché usa un parolone tecnico, anzi, ma perché lo usa a sproposito: nessuno può "cercare disperatamente" di agire per via inerziale. L'inerzia può essere dovuta a pigrizia, sonno, rincoglionimento, ma è sempre passiva e non attiva.
Per il resto, il filosofo-non-di-sinistra mette sullo stesso piano i due stereotipi della destra (come "mercato sfrenato e individualismo") e della sinistra (come "comunismo"). In questo rivela di essere sostanzialmente un cialtrone: perché la destra rivendica orgogliosamente sia il liberismo che l'individualismo, dunque dov'è il problema se anche "da sinistra" vengono riconosciute queste caratteristiche? Sull'altro versante, invece, parrebbe un po' più difficile prendere sul serio che la sinistra sia "comunista". Questo si che è un argomento bruciato.
Più interessante il concetto di postmoderno, intanto perché è vero che ci troviamo nel postmoderno - spesso lo si dimentica - e poi perché effettivamente abolisce (ma questo Cacciari non lo dice, o lo lascia sottinteso) i concetti di conservazione e di progresso sui quali rispettivamente siamo soliti far corrispondere la destra e la sinistra.

Ma il geniale intervistatore è già oltre:
Dicono che pure il postmoderno sia finito. In che tempo viviamo, dunque? Chiedo
al filosofo, non al politico.
«Potrebbe essere quello messianico di Walter Benjamin, perché no? In cui ogni
istante è una porta aperta che dà accesso alla dimensione in cui una persona vive
ogni momento come l’ultimo in cui rendere ragione delle proprie azioni. A ogni
modo non è più il tempo del ’900, in cui ci si affidava a identità collettive che si
trovavano già date e che ci identificavano a prescindere dalla nostra decisione
personale. Non è più nemmeno il tempo in cui se ne deve attendere un altro, che
sia il Sol dell’Avvenire o il Terzo Reich o che».

E invece di rispedire la cazzata al mittente, Cacciari la prende sul serio ed osa citarmi a sproposito. Poi, per ristabilire l'equilibrio, apre il rubinetto dell'acqua calda (come sempre, con l'aria di chi la sta inventando in quel momento) e lascia scorrere una banalità da repertorio: le identità collettive delle ideologie sono finite, grazie tante, ma cosa c'entra?
Infine Cacciari torna al solo concetto sensato del discorso: non c'è più nessun futuro da attendere, perché siamo nel postmoderno appunto.
Eppure lei afferma che mai come oggi tutti sono in caccia di identità collettive più
o meno mitologiche.
«Il nostro linguaggio è ancora soffocato da una cultura politica reazionaria, e ci
sono reazionari di destra e di sinistra. E ancora vive, purtroppo, sono le
contrapposizioni pubblico/privato, egualitarismo/meritocrazia e via così. E non mi
dica che uno come Beppe Grillo sta “sopra” tutte queste cose, perché se c’è un guru
all’opposto della cultura responsabilizzante, se c’è un demagogo, è lui. Per
interpretare la nostra epoca occorrono invece analisi, ragionamento, discussione».
Se c'è un demagogo è Grillo, certo, ma anche quello che sta parlando non scherza. Siccome siamo nel postmoderno, tutto ciò che non è postmoderno è "reazionario". Concetto bizzarro, dato che nel postmoderno per definizione non esiste più il reazionario né il progressista: e dunque chi rifiuta (o si pone con atteggiamento critico) verso questo postmoderno pensiero unico, non è un reazionario ma un dissidente - a differenza di Cacciari, che con tutta evidenza intende la filosofia come una ratifica di tale pensiero unico (e con altrettanta evidenza si ritiene "progressista" in lotta contro siffatti reazionari, negando quello stesso postmodernismo mentre dice di avallarlo).
Per esempio, se Marchionne e Tremonti dicono che non ci deve essere più contrapposizione tra pubblico e privato, ecco pronto il filosofo che bolla come "reazionaria" la contrapposizione tra pubblico e privato. Che tempismo! Peccato che Cacciari, mettendosi a rimorchio di ministri e manager, confonda le sue simpatie politiche con la filosofia: "pubblico" e "privato" infatti - come concetti - sono per loro natura in contrapposizione. Il filosofo dovrebbe semmai analizzare come si ridefiniscono i loro rapporti, invece di far finta che non esistano.

Infine c'è la stoltaggine dell'autocontraddirsi a ripetizione: Cacciari ha appena negato i concetti di destra e sinistra, ma li ripesca subito per dire che "ci sono reazionari di destra e di sinistra". Reazionario anche lui dunque?
E forse anche qualcuno che, in altro modo, faccia la sua stessa operazione degli
anni ’60-70, quando lei propose alla sinistra i paradigmi spiazzanti della cultura di
destra...
«Lo sforzo che abbiamo fatto io e altri, come Marramao, Bolaffi e Esposito, per
riportare una certa sinistra a ragionare sulla cultura di destra, dal primo Thomas
Mann a Jünger fino a Heidegger, non era nel segno di contrastare quello che oggi viene chiamato il “consumismo della sinistra” o la sua liberaldemocrazia. Detto
questo, si voleva far comprendere alla sinistra di allora, tra l’altro rappresentata da
buone leadership, cosa fosse stato il ’900 in tutta la sua complessità».
Notare l'allusione, neanche troppo velata per la verità, alle pessime leadership della sinistra attuale (peraltro Cacciari dimostra di avere sempre bene in mente la stessa categorizzazione che chiede a tutti gli altri di superare).
Ma di cosa non si rendeva ben conto la sinistra a questo proposito?
«Del fatto che la critica della democrazia era meglio sviluppata in autori di destra
che nella vulgata gramsciana. E che era necessario essere dotati di spirito critico
verso la democrazia, che è un sistema politico sempre in crisi, per definizione. Il
mio era un discorso minoritario, ovvio, e in polemica con una certa retorica di
sinistra riguardo i sacrifici, il lavoro, le classi sociali. Oggi, è tutto di nuovo
cambiato. Servono altre categorie di pensiero». 
Già. Magari potrebbe cominciare lui, a dimostrare un po' di spirito critico verso la "democrazia" postmoderna attuale: ma a quanto pare il suo intento è l'esatto opposto. Tanto che...
Ma la sinistra non si guadagna ovunque, come ha scritto Giuliano Ferrara, la
«pagnotta della simpatia»?
«(Dopo due minuti di risate, ndr) A me non risulta. Speriamo di sì! Comunque la
trovo un’analisi completamente sballata, anche dal punto di vista dell’antropologia
culturale. E poi non ha senso dire che la destra fa fatica a essere simpatica, quando
in Italia destra e sinistra sono indigeste, come si vede, e antipatiche tutte e due».
 Ridi ridi, simpaticone. Intanto "Destra" e "Sinistra" dunque non solo esistono, ma addirittura vengono antropomorfizzate, e Cacciari non rifiuta affatto l'antropomorfizzazione attuata da Ferrara: anzi annega ancor più nel qualunquismo prepolitico, fanno tutti schifo e siamo a posto. Eh già, Cacciari, perché "non è più il tempo del ’900, in cui ci si affidava a identità collettive" vero? (Tipica prassi comunista, se vogliamo, additare negli altri il nemico che è in sé).
Bisogna, come lei dice, vedere se riusciamo a dividerci su cose che non riguardano
più il ’900?
«Appunto. Vedere se riusciamo a discutere su qual è la costituzione democratica
più efficiente nell’epoca della globalizzazione, quale federalismo scegliere, le
decisioni bioetiche migliori connesse allo sviluppo tecnologico, se esiste un welfare
che non sia solo burocrazia».
Sì appunto, vediamo se qualcuno riesce a discuterne. Di certo non il Cacciatorino, che per fare notizia preferisce trastullarsi sull'obsolescenza della destra e della sinistra: salvo poi continuare a pensare esattamente secondo quelle categorie, "progressisti" vs. "reazionari", che davvero non esistono più (ed era questo l'unico spunto degno di essere sviluppato) perché non esiste più alcuna direzionalità nel tempo storico.

Ma il Cacciatorino voleva smentire di essere un "filosofo di sinistra", e c'è riuscito in pieno: non è né l'una né l'altra cosa.