domenica 10 ottobre 2010

Il Cacciatorino

"Destra e sinistra sono categorie obsolete"


 Ingiustamente accusato per anni di essere un "filosofo di sinistra", Massimo Cacciari si fa intervistare su Il Giornale per smentire tutto:
Professore, bisogna bruciare sinistra e destra?
«Si sono bruciate da sole. I termini e i contenuti che le hanno definite nel XX
secolo sono superati. Tutti i nostri problemi esulano da queste categorie, anche se
c’è ancora chi cerca disperatamente, per meccanismi inerziali, di tenerle vive. Il
pensiero della sinistra che la destra sia solo mercato sfrenato e individualismo, per
esempio, è inerziale. Come l’anticomunismo della destra. Nessuna di tali posizioni
appartiene al postmoderno in cui siamo costretti a vivere». 
"Inerziale" è termine mutuato dalla fisica, e riguarda una forza che rimane ferma dentro un sistema di riferimento in moto. Quando decolla l'aereo e ci sentiamo respinti indietro, ad esempio, è un meccanismo inerziale: agisce in quell'attimo in cui [inserire qui una spiegazione scientifica verosimile, ma in questo caso superflua]. Non ce l'ho con Cacciari perché usa un parolone tecnico, anzi, ma perché lo usa a sproposito: nessuno può "cercare disperatamente" di agire per via inerziale. L'inerzia può essere dovuta a pigrizia, sonno, rincoglionimento, ma è sempre passiva e non attiva.
Per il resto, il filosofo-non-di-sinistra mette sullo stesso piano i due stereotipi della destra (come "mercato sfrenato e individualismo") e della sinistra (come "comunismo"). In questo rivela di essere sostanzialmente un cialtrone: perché la destra rivendica orgogliosamente sia il liberismo che l'individualismo, dunque dov'è il problema se anche "da sinistra" vengono riconosciute queste caratteristiche? Sull'altro versante, invece, parrebbe un po' più difficile prendere sul serio che la sinistra sia "comunista". Questo si che è un argomento bruciato.
Più interessante il concetto di postmoderno, intanto perché è vero che ci troviamo nel postmoderno - spesso lo si dimentica - e poi perché effettivamente abolisce (ma questo Cacciari non lo dice, o lo lascia sottinteso) i concetti di conservazione e di progresso sui quali rispettivamente siamo soliti far corrispondere la destra e la sinistra.

Ma il geniale intervistatore è già oltre:
Dicono che pure il postmoderno sia finito. In che tempo viviamo, dunque? Chiedo
al filosofo, non al politico.
«Potrebbe essere quello messianico di Walter Benjamin, perché no? In cui ogni
istante è una porta aperta che dà accesso alla dimensione in cui una persona vive
ogni momento come l’ultimo in cui rendere ragione delle proprie azioni. A ogni
modo non è più il tempo del ’900, in cui ci si affidava a identità collettive che si
trovavano già date e che ci identificavano a prescindere dalla nostra decisione
personale. Non è più nemmeno il tempo in cui se ne deve attendere un altro, che
sia il Sol dell’Avvenire o il Terzo Reich o che».

E invece di rispedire la cazzata al mittente, Cacciari la prende sul serio ed osa citarmi a sproposito. Poi, per ristabilire l'equilibrio, apre il rubinetto dell'acqua calda (come sempre, con l'aria di chi la sta inventando in quel momento) e lascia scorrere una banalità da repertorio: le identità collettive delle ideologie sono finite, grazie tante, ma cosa c'entra?
Infine Cacciari torna al solo concetto sensato del discorso: non c'è più nessun futuro da attendere, perché siamo nel postmoderno appunto.
Eppure lei afferma che mai come oggi tutti sono in caccia di identità collettive più
o meno mitologiche.
«Il nostro linguaggio è ancora soffocato da una cultura politica reazionaria, e ci
sono reazionari di destra e di sinistra. E ancora vive, purtroppo, sono le
contrapposizioni pubblico/privato, egualitarismo/meritocrazia e via così. E non mi
dica che uno come Beppe Grillo sta “sopra” tutte queste cose, perché se c’è un guru
all’opposto della cultura responsabilizzante, se c’è un demagogo, è lui. Per
interpretare la nostra epoca occorrono invece analisi, ragionamento, discussione».
Se c'è un demagogo è Grillo, certo, ma anche quello che sta parlando non scherza. Siccome siamo nel postmoderno, tutto ciò che non è postmoderno è "reazionario". Concetto bizzarro, dato che nel postmoderno per definizione non esiste più il reazionario né il progressista: e dunque chi rifiuta (o si pone con atteggiamento critico) verso questo postmoderno pensiero unico, non è un reazionario ma un dissidente - a differenza di Cacciari, che con tutta evidenza intende la filosofia come una ratifica di tale pensiero unico (e con altrettanta evidenza si ritiene "progressista" in lotta contro siffatti reazionari, negando quello stesso postmodernismo mentre dice di avallarlo).
Per esempio, se Marchionne e Tremonti dicono che non ci deve essere più contrapposizione tra pubblico e privato, ecco pronto il filosofo che bolla come "reazionaria" la contrapposizione tra pubblico e privato. Che tempismo! Peccato che Cacciari, mettendosi a rimorchio di ministri e manager, confonda le sue simpatie politiche con la filosofia: "pubblico" e "privato" infatti - come concetti - sono per loro natura in contrapposizione. Il filosofo dovrebbe semmai analizzare come si ridefiniscono i loro rapporti, invece di far finta che non esistano.

Infine c'è la stoltaggine dell'autocontraddirsi a ripetizione: Cacciari ha appena negato i concetti di destra e sinistra, ma li ripesca subito per dire che "ci sono reazionari di destra e di sinistra". Reazionario anche lui dunque?
E forse anche qualcuno che, in altro modo, faccia la sua stessa operazione degli
anni ’60-70, quando lei propose alla sinistra i paradigmi spiazzanti della cultura di
destra...
«Lo sforzo che abbiamo fatto io e altri, come Marramao, Bolaffi e Esposito, per
riportare una certa sinistra a ragionare sulla cultura di destra, dal primo Thomas
Mann a Jünger fino a Heidegger, non era nel segno di contrastare quello che oggi viene chiamato il “consumismo della sinistra” o la sua liberaldemocrazia. Detto
questo, si voleva far comprendere alla sinistra di allora, tra l’altro rappresentata da
buone leadership, cosa fosse stato il ’900 in tutta la sua complessità».
Notare l'allusione, neanche troppo velata per la verità, alle pessime leadership della sinistra attuale (peraltro Cacciari dimostra di avere sempre bene in mente la stessa categorizzazione che chiede a tutti gli altri di superare).
Ma di cosa non si rendeva ben conto la sinistra a questo proposito?
«Del fatto che la critica della democrazia era meglio sviluppata in autori di destra
che nella vulgata gramsciana. E che era necessario essere dotati di spirito critico
verso la democrazia, che è un sistema politico sempre in crisi, per definizione. Il
mio era un discorso minoritario, ovvio, e in polemica con una certa retorica di
sinistra riguardo i sacrifici, il lavoro, le classi sociali. Oggi, è tutto di nuovo
cambiato. Servono altre categorie di pensiero». 
Già. Magari potrebbe cominciare lui, a dimostrare un po' di spirito critico verso la "democrazia" postmoderna attuale: ma a quanto pare il suo intento è l'esatto opposto. Tanto che...
Ma la sinistra non si guadagna ovunque, come ha scritto Giuliano Ferrara, la
«pagnotta della simpatia»?
«(Dopo due minuti di risate, ndr) A me non risulta. Speriamo di sì! Comunque la
trovo un’analisi completamente sballata, anche dal punto di vista dell’antropologia
culturale. E poi non ha senso dire che la destra fa fatica a essere simpatica, quando
in Italia destra e sinistra sono indigeste, come si vede, e antipatiche tutte e due».
 Ridi ridi, simpaticone. Intanto "Destra" e "Sinistra" dunque non solo esistono, ma addirittura vengono antropomorfizzate, e Cacciari non rifiuta affatto l'antropomorfizzazione attuata da Ferrara: anzi annega ancor più nel qualunquismo prepolitico, fanno tutti schifo e siamo a posto. Eh già, Cacciari, perché "non è più il tempo del ’900, in cui ci si affidava a identità collettive" vero? (Tipica prassi comunista, se vogliamo, additare negli altri il nemico che è in sé).
Bisogna, come lei dice, vedere se riusciamo a dividerci su cose che non riguardano
più il ’900?
«Appunto. Vedere se riusciamo a discutere su qual è la costituzione democratica
più efficiente nell’epoca della globalizzazione, quale federalismo scegliere, le
decisioni bioetiche migliori connesse allo sviluppo tecnologico, se esiste un welfare
che non sia solo burocrazia».
Sì appunto, vediamo se qualcuno riesce a discuterne. Di certo non il Cacciatorino, che per fare notizia preferisce trastullarsi sull'obsolescenza della destra e della sinistra: salvo poi continuare a pensare esattamente secondo quelle categorie, "progressisti" vs. "reazionari", che davvero non esistono più (ed era questo l'unico spunto degno di essere sviluppato) perché non esiste più alcuna direzionalità nel tempo storico.

Ma il Cacciatorino voleva smentire di essere un "filosofo di sinistra", e c'è riuscito in pieno: non è né l'una né l'altra cosa.

1 commento:

  1. Sono molto contento di inaugurare i commenti a questo blog a cui auguro mille di questi post. Devo dire la verità, la mia opinione su Cacciari è repentinamente cambiata nel giro di qualche settimana. Ho sempre pensato che come intellettuale non fosse un esempio di coerenza: negli anni si è presentato come quello costretto a fare politica, tolto con fastidio all'insegnamento, lui che come funzionario del PCI si è fatto due legislature come deputato e due mandati come sindaco di Venezia. Pensavo però che proprio in funzione di sindaco avesse dato miglior prova di sè, per esempio lodevole è stata la sua fermezza riguardo al villaggio sinti. Invece la visione dello stato in cui versa Mestre, parte della città che ha amministrato per 12 anni e che purtroppo ho dovuto frequentare per un paio di settimane, mi fa pensare che anche in quella veste sia stato uno che ha sguazzato inutilmente nel potere come quei politici che adesso allontana da sè.

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